lunedì 24 gennaio 2011

A fianco della rivolta Tunisina


Nel 1999, l'ammiraglio Fulvio Martini, già dirigente del Servizio Segreto Militare (SISMI) riferì alla Commissione Stragi del Parlamento italiano: “Negli anni 1985-1987 organizzammo una specie di colpo di Stato in Tunisia, mettendo il presidente Ben Ali a capo dello Stato, sostituendo Bourguiba (esponente di primissimo piano nella lotta di indipendenza dal colonialismo francese, NdR)”. Martini, inoltre, nel suo libro “Nome in codice: Ulisse” precisò che le direttive venivano da Craxi e da Andreotti, allora rispettivamente presidente del consiglio e ministro degli esteri.
Successivamente l'oppositore del regime dittatoriale di Ben Ali, Taoufik Ben Brik ha denunciato come i governanti italiani abbiano rinforzato il regime “rimpinguando i suoi forzieri e armando il suo braccio contro il popolo”. Non a caso fu in Tunisia che il latitante Craxi si rifugiò, riverito, protetto e seppellito, per sfuggire alle condanne inflittegli.

La rivolta e la lotta in corso in Tunisia ci appartengono, le sentiamo come nostre, sia perché sono contro un regime dittatoriale, arrogante e corrotto sia perché nate per conquistare, non solo migliori condizioni di vita, ma anche libertà di parola e di organizzazione. Le sosteniamo in quanto espressione autonoma di esigenze popolari, sganciate da logiche di compatibilità geopolitiche.


Mentre a destra e manca si denuncia il rischio dell'anarchia, e le classi dirigenti tunisine, con i loro protettori europei, stanno cercando di piegare ed ingabbiare la protesta popolare dentro un processo elettorale, per disarmare la volontà di lotta delle masse; mentre si è costituito un governo fantoccio, di fatto controllato dagli amici e colleghi di Bel Ali per garantire la continuità del sistema di sfruttamento e di oppressione; mentre il ministro Frattini si pronuncia per la 'stabilità' dell'area (ove 'stabilità' sta per 'ordine e disciplina') è importante pronunciarsi e manifestare a favore del tentativo  di auto-emancipazione popolare e sostenere con forza la protesta e la rivolta in corso, che si sta misurando con l'esercito e le bande armate fedeli all'ex presidente, fuggito con più di una tonnellata di lingotti d'oro.



La lotta insurrezionale tunisina sta aprendo la strada ad altre lotte in Algeria, Marocco ed Egitto, innescate dagli effetti disastrosi della crisi sociale; da questa parte del Mediterraneo dobbiamo mobilitarci affinché tali lotte e rivolte non vengano stroncate da nuove dittature, preparate e sostenute dai governi europei, stroncando ogni possibile forma di paternalismo e di razzismo tendenti a separare e a contrapporre quelli che sono gli interessi comuni di ogni lavoratore e di ogni essere umano: la dignità, la libertà, la giustizia sociale.


Commissione Relazioni Internazionali FAI

venerdì 21 gennaio 2011

Per diventare azioni, le idee devono dapprima circolare




Il capitalismo è arrivato a governare l'intero pianeta e ora opera attraverso il mercato globale. Inizialmente ha distrutto le relazioni sociali precapitaliste e per farlo ha dovuto distruggere la struttura sociale che è all'origine di queste relazioni - la comunità - l'organizzazione sociale che l'umanità ha usato per migliaia di anni per soddisfare le proprie necessità. Ci troviamo ora in un momento storico critico, in cui il capitalismo ha distrutto i concetti stessi di auto-determinazione (autonomia), di autarchia relativa, di solidarietà nella comunità, il legame diretto fra produzione e consumo, ma anche la coesistenza armoniosa degli esseri umani con la natura. Viviamo in enormi condomini, ma non in una comunità. Le persone lavorano per ottenre una paga e spendereil proprio denaro in un supermercato, votano per lasciare ad altri più "esperti" la soluzione dei problemi di tutti, ascoltano tutte la stessa musica, si distraggono tutte nella stessa maniera, parlano lo stesso linguaggio, e così via.

Qualsiasi indicazione di un radicale cambio sociale è considerato utopico, non solo poichè l'autorità è rafforzata dalla tecnologia avanzata, ma anche perchè il significato classico della parola "rivoluzione" è stato dimenticato. Se con "rivoluzione" intendiamo il mettere in comune i mezzi di produzione, allora come possiamo parlare di questo quando non c'è più una comunità? Se consideriamo la rivoluzione come lotta di classe, in cui determinati gruppi sociali stabiliscono infrastrutture socio-economiche auto-organizzate (come edifici occupati, scuole libertarie, e così via) all'interno dei confini di una città, allora come possono portare a termine il loro progetto senza avere accesso ai mezzi di produzione agricoli che forniscono quanto è necessario a vivere? E come potremo parlare di produzione rurale auto-organizzata se in qualche decennio la maggior parte dei semi naturali saranno estinti e i contadini dipenderanno da coorporazioni sovranazionali?

Il capitalismo ci obbliga a essere in competizione, a occuparci del solo benessere individuale, a lavorare per costruire le nostre carriere. Indipendentemente dalla natura della tua professione, non sei niente di più di uno schiavo pagato. Il capitalismo ha distrutto ogni senso di comunalismo, ogni consapevolezza di interesse comune.

In Grecia i gruppi libertari-antiautoritari che si sono formati hanno un orientamento esclusivamente ideologico o politico e non tengono in considerazione la vita di ogni giorno, come il crescere e l'educare i tuoi figli. Pospongono l'attuazione delle loro idee in un lontano futuro senza cercare di metterle in pratica.

La realizzazione di una nuova società può accadere sia nelle città che nelle regioni rurali, ma in queste ultime c'è (teoricamente) una maggior probabilità di successo.

Dovremmo creare o costruire le comunità libertarie? Entrambe le cose possono accadere. La differenza è che le creazioni possono evolvere, mentre le costruzioni sono destinare a morire. La costruzione di una comunità libertaria può, inizialmente, essere basata su particolari caratteristiche politiche e su cooperative che permetterebbero il fiorire delle idee libertarie.

Lo sviluppo del municipalismo libertario dovrebbe diventare una priorità del movimento liberario e anarchico. Nello sviluppo delle forme libertarie di organizzazione possiamo distinguere quattro piani fondamentali di azione: il sociale, il politico, l'economico e il culturale.


Il piano sociale

All'interno di una comunità libertaria:
non esiste la divisione del tempo tra lo "svago" e il "lavoro" perchè lo sfruttamento degli umani sugli umani è abolito, come pure ogni forma di lavoro salariato;
la gente cessa l'esperienza dell'alienazione del lavoro ed è felice di consumare ciò che produce;
prendersi cura dei bambini e degli anziani diventa responsabilità dell'intera comunità;
il sapere di ognuno e' usato per il bene comune. Il muratore può aiutare nella costruzione di nuovi edifici, l'architetto nella ristrutturazione di edifici datati, il contadino può traferire la propria conoscenza alla comunità, l'insegnante può insegnare nella scuola locale, etc.;
il primato degli umani sulla natura è abolito per instaurare una nuova relazione armoniosa con l'ambiente.


Il piano politico

Sul piano politico, la comunità libertaria:
è basata sull'esercizio della democrazia diretta, sul funzionamento dell'assemblea generale e sulla presa di decisioni basate sul consenso;
può cooperare con altre comunità per creare reti;
può rendere pubbliche le proprie idee;
può partecipare alle battaglie sindacali;
può organizzare eventi e incontri
inoltre può partecipare a manifestazioni nelle città.


Il piano economico

Una comunità libertaria basa le sue funzioni economiche su:
una organizzazione cooperativa egualitaria e la gestione comune dei mezzi di produzione;
la cooperazione di tutti i componenti verso il benessere comune;
la capacità di comprare all'ingrosso prodotti non disponibili localmente;
la relazione diretta tra produttore e consumatore e l'abolizione di intermediari nella vendita al dettaglio;
la creazione di laboratori comunitari.
Inoltre:
la dipendenza dell'economia dalla moneta è ridotta grazie all'auto-consumo;
il costo di produzione diminuisce grazie all'amministrazione comunitaria. Il costo per l'acquisto di prodotti non locali diminuisce, perchè saranno acquistati all'ingrosso;
il legame tra due o tre comunità può facilitare lo scambio dei beni prodotti.

Il piano culturale

Nessuno può immaginare esattamente come tali comunità possano incorporare le culture locali morenti, le contro-culture, le vite dei propri componenti, etc. Le vie espressione culturale che percorriamo sono gli elementi che evolveranno in una cultura a lungo termine. E ci sono molti di questi cammini: biblioteche comunitari, caffè comunitari, produzione di documentari sulle tradizioni della comunità, storia locale, lezioni gratuite, etc.

Infine ci sono così tante cose che possiamo fare che dobbiamo sederci e discutere come farle.

Fotis Katevas (
Φώτης Κατέβας)

Eutopia, pubblicazione numero 1, March 1999

Traduzione dalla versione inglese, abbreviata (Dicembre 2009)